La coscienza delle nostre cartomanti: riconoscere il nostro limite e consigliare la psicoterapia

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Questo che sto per pubblicare è un articolo scritto dalla D.ssa Tamara Marchetti, di professione Psicologa Psicoterapeuta di coppia, lo trovate pubblicato a questo link:

Nell’articolo si racconta una storia vera, la cartomante in questione è la nostra Alessia, ho chiesto l’autorizzazione alla Dottoressa Tamara Marchetti di poterlo pubblicare, in modo tale da testimoniare come, da un lato siamo professioniste e dall’altro come agiamo quando capiamo che il caso non è più di nostra competenza. D’altro canto questo articolo ci dimostra come, anche professionisti affermati possano in qualche modo interagire con questo mondo tanto discriminato, ma fondamentalmente radicato nelle credenze popolari.

DA UN MAZZO DI MARSIGLIESI* AD UN MODELLO SISTEMICO-RELAZIONALE

Descrizione di un caso clinico

Dott.ssa Tamara Marchetti, psicologa clinica, psicoterapeuta familiare

Introduzione

Non esiste una formula standard che stabilisca come le famiglie o i singoli individui vengano inviati al terapista, certo è che ogni caso è a se, sia per l’originalità dell’inviante e per come un paziente si vive la scelta personale di iniziare un percorso più o meno breve di psicoterapia. Andare in terapia da uno psicoterapeuta, significa iniziare a lavorare su se stessi, mettersi in gioco e, imparare a definirsi. Ritengo sia, molto importante il ruolo dell’inviante, ovvero, di chi suggerisce ad una persona di sua conoscenza, di iniziare una psicoterapia, tanto più quando si consiglia per motivi vari, un professionista specifico, fornendo cioè il nominativo dello psicologo. E’ proprio da questa figura,che ha inizio la “relazione terapeutica”, ogni relazione infatti, non inizia al momento in cui due persone si incontrano in carne ed ossa, ma prima, nell’immaginario di entrambe, nella preparazione sia fisica (il vestirsi per andare, l’uscire di casa, etc.), che psicologica: come si immagina l’incontro, a cosa serve ed il suo strutturarsi.
Una situazione interessante a tal proposito, mi è capitata al mio centro di “psicologia relazionale: I Sistemi”, nel 2006, con una donna che mi venne inviata, da una figura professionale, almeno per me, inedita, l’inviante di questa paziente non era la classica figura: medico di base, farmacista, insegnante e o un passa parola … ma, vediamo di seguito come andarono le cose!

la fase anamnestica

Quando conobbi Elfride, aveva 42 anni e fu, un incontro strano, direi anomalo, in realtà aveva del “paranormale”! Suonò al campanello del mio studio e per quel giorno avevo terminato da mezz’ora l’ultimo appuntamento con i pazienti. Guardando dalla finestra, vidi questa donna dai lunghi capelli color rame, aprii la porta e scesi un po’ di scale per andargli incontro, la salutai presentandomi e le chiesi se avevo dimenticato di avere questo appuntamento con lei. La donna pronunciando il suo nome di battesimo, si presentò, chiedendomi se potevo fissargli il prima possibile un incontro per iniziare una psicoterapia di cui sentiva di avere profondamente bisogno. Qualcosa mi trattenne dal dirle di tornare nei giorni successivi, o magari di sentirci prima al telefono. La invitai quindi a salire per compilare la scheda di accoglienza (ovvero raccolta di dati anamnestici: informazioni di base). Mi feci descrivere il suo momento attuale e, quello che ne emerse fu che, da una settimana era uscita dalla sua casa coniugale, trovando provvisoria ospitalità per lei e suo figlio di 11 anni, presso un’amica d’infanzia di Elfride. Nella sua vita sentimentale, c’era da circa due anni un altro uomo, libero da vincoli matrimoniali, a legarli, né la passione, né la trasgressione, ma un sentimento profondo e sincero. La sincerità per entrambe, era stato fin dall’inizio, un valore imprescindibile, ma al contempo, Elfride mentiva a suo marito e questo la faceva soffrire, anche se lei affermò che l’uomo che aveva spostato, non era mai stato nulla di buono. Non ostante questo però, il tradimento, l’aveva lacerata, facendola sentire squallida e di basso profilo morale. A seguito di tutto questo, una settimana prima, aveva portato tutte le sue cose da questa amica, poi rivelò il suo segreto al marito.

Il rivelamento dell’arcano: l’inviante

Quel pomeriggio che venne da me, Elfride, era stravolta e, in un certo senso, stravolse anche me, quando terminata la fase anamnestica, le fissai una data per iniziare la “psicoterapia individuale” (almeno inizialmente), se ci fosse poi stato bisogno di inserire persone significative lo avremmo visto andando avanti. Spiegai in modo chiaro ad Elfride, il mio modo di lavorare, considerato il mio orientamento sistemico-relazionale di psicoterapeuta familiare. Elfride mi chiese se io lavorassi anche con i tarocchi, in quanto lei, non aveva mai avuto contatti con psicologi, ma solo con cartomanti, da ormai cinque anni e dopo, molto girovagare, ne aveva finalmente trovata una con la quale aveva un’ottima sintonia, facendo con lei due consulti come li definì, al mese. Era stata proprio questa cartomante a fornirgli il mio nominativo, in quanto io curavo un rotocalco di psicologia in una radio locale e, questa cartomante ascoltava da quanto ne emerse, con interesse le trasmissioni radiofoniche, dove veniva fornito il mio nominativo ed indirizzo dello studio, mentre solo in privato (chiamando in radio), si poteva conoscere il mio recapito telefonico. Era ora più chiaro perché Elfride si presentò direttamente a studio senza un appuntamento telefonico come prevede la prassi.
Dopo aver ricevuto queste informazioni, chiesi ad Elfride se poteva lasciarmi il numero di telefono dell’inviante, così se ne avessi avuto bisogno l’avrei potuta contattare, spiegando alla paziente che io non lavoro con i tarocchi che sono uno strumento specifico dei cartomanti, anche se li conosco dal punto di vista del simbolismo e, se ne aveva bisogno per sentirsi rassicurata poteva portarli e li avremmo utilizzati a sfondo psicologico, non come strumento per la divinazione del futuro che, non è competenza dello psicoterapeuta. Definita la cornice del setting terapeutico, salutai la donna.

Il mio incontro con l’inviante

Dopo averci riflettuto nei giorni a seguire, mi convinsi a contattare l’inviante, prima di iniziare la terapia con la paziente. L’obiettivo era quello di capire che tipo di relazione ci fosse tra loro, ed avvicinarmi a quel mondo magico di cui tanto aveva bisogno Elfride per andare avanti. Con Alessia, questo il nome dell’inviante, c’incontrammo nel suo studio, così mi sarei fatta un’idea di quella che era la “prospettiva” di aiuto a cui attingeva Elfride. Di solito, ho sempre avuto colloqui per la presa in carico di pazienti, con medici di base, insegnati, logopedisti o psichiatri, ma mai cartomanti, era dunque, per un certo verso una situazione che nel suo essere nuova, aveva anche dell’affascinante!
Pur essendo un carattere tendenzialmente diffidente, dove il mondo della cartomanzia, è a mio avviso qualcosa di pericoloso per persone fragili che, si rivolgono a qualcuno per valutare il proprio futuro o magari cambiarlo attraverso amuleti o altre stregonerie. Devo ammettere, che in Alessia, trovai una persona sensibile. Il suo studio era allestito con gusto e non metteva a disagio chi come me era fuori dall’ambito. Alessia, che conosceva da un po di tempo la paziente che avremmo avuto in comune, mi fece un quadro esauriente sulla sua storia di vita.

Presentazione del caso clinico attraverso le informazioni avute dell’inviante

Elfride, era stata una figlia prodigio, che aveva sempre saputo tenere testa a suo padre alcolista e sbandato, era il fiore all’occhiello per sua madre, mentre il fratello era un trafficante di automobili di prestigio, rubate ed esportate all’estero, motivo per il quale, entrava ed usciva dal carcere. Anche il marito di Elfride, con il quale si era costruita una vita, era un amico di suo fratello e anche lui, associato alla malavita. Pertanto, sia da ragazza, che poi da coniugata, la funzione di Elfride era rimasta sempre quella di occuparsi di un congiunto con problemi nello stile di vita e di illegalità, mentre lei era una persona onesta e responsabile. Elfride, nel racconto della mia inviante, era stata per lunghi anni, una donna votata al sacrificio e alla sofferenza, senza mai lamentarsi, ma cercando di gestire al meglio le situazioni per mandare avanti la baracca. Poi, l’incontro con Gianni, lui lavora nel supermercato vicino alla scuola che frequenta il figlio di Efride e dove lei, spesso andava a fare la spesa, tra loro è amore, le attenzioni di Gianni, un uomo onesto e pulito, resero Elfride una donna nuova, come non era mai stata prima.

Il mandato familiare

Per la prima volta, Elfride, non era più la “crocerossina” del suo uomo, ma dentro casa, era diventata lei la disonesta, questo il suo vissuto. Questo il suo nuovo ruolo che però non le apparteneva, lei era stata una figlia e moglie prodigio, ma nella sua storia con Gianni, era nato l’amore senza condizioni, uscendo dal suo mandato familiare. Per mandato familiare s’intende, una funzione assegnata inconsapevolmente, dal sistema familiare intergenerazionale (attraversando cioè la storia di più generazioni), ad un individuo. Uscire dal mandato, quando questo diventa una funzione rigida, ovvero priva di crescita evolutiva sia per l’individuo che lo agisce, ma anche per l’intero sistema familiare, è un aspetto sano, anche se a livello psicologico, non è né semplice, né indolore. Si tratta di liberarsi da un fardello che nell’immaginario individuale rappresenta una sorta di mostro sacro.
Questo aspetto critico, generò in Elfride, un conflitto interiore profondo, quale spinta per iniziare a frequentare centri di cartomanzia, alla ricerca di rassicurazioni e consigli, se era cioè meglio, rimanere legata al ruolo di “brava donna”, o vivere un sentimento onesto.
segue…..

* riferimento ai Tarocchi Marsigliesi

 

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